La nona edizione del Festival Cerealia è stata dedicata alla memoria del Prof. Corrado Barberis, recentemente venuto a mancare. Giovedì 6 giugno 2019, nella Sala Rossa dell’Istituto Luigi Sturzo il Festival è stato inaugurato con un seminario dedicato al “Il farro: cultura, scienza, nutrizione ed economia del più antico frumento coltivato”. All’inizio del seminario il Dottor Alessandro Barghini, vicepresidente dell’INSOR ed amico di vecchia data del Professore, ha voluto ricordare brevemente la sua attività nello studio e valorizzazione del mondo rurale.

Per ricordare Corrado Barberis e la sua traiettoria intellettuale, giustificando perché questo IX Festival Cerealia sia dedicato a Lui, niente di meglio che iniziare con un ricordo.

Nel lontano 1964, già collaboratore dell’INSOR, come addetto stampa della Shell Italiana, partecipai a un seminario a Borgo a Mozzano dedicato ad una iniziativa della Shell Internazionale per l’Estensione rurale. In una agricoltura che si stava tecnicizzando, la Shell voleva portare alle campagne le nuove tecnologie, che avrebbero potuto permettere un rinnovamento delle campagne. Per l´occasione il supplemento domenicale de The Times, di Londra, pubblicò un ampio servizio fotografico sulla Lunigiana, con la suggestiva vista del Ponte del Diavolo, e fotografie di un’agricoltura bella, ma povera. Tornato a Roma, conversai a lungo con Corrado, parlammo dell’Ariosto, governatore relegato in quelle terre per lui inospite, parlammo dei marroni, dei funghi ma non parlammo del farro.

Oggi, dovendo parlare all´inizio di questo seminario, mi è sembrato opportuno consultare cosa dice la stampa estera su questa terra, e ho trovato sul New York Times un lungo articolo dedicato alla zuppa di farro della Lunigiana, lodata per la sua eccellenza.

I due articoli, quello de The Times e quello sul New York Times, sono in un certo senso rappresentativi di due visioni diverse sull´agricoltura italiana: il primo che rappresenta un mondo poetico in via di estinzione, il secondo che valorizza un prodotto tipico riservato a veri intenditori: una vera e propria “Rivincita delle campagne”. Dobbiamo in parte a Corrado Barberis questo cambiamento di prospettiva nell’osservare il mondo rurale italiano, e in un certo senso questo mutamento di prospettiva rappresenta un poco la storia della Società Italiana di Sociologia Rurale, della quale lui fu, insieme al Ministro Giuseppe Medici, uno dei fondatori e della quale quest’anno si commemorano i sessanta anni di vita.

Per comprendere il significato di questa trasformazione, dobbiamo tornare a un passato che la maggior parte di voi non ha vissuto.

Erano gli anni ’60, con l’Italia in pieno miracolo economico. L’esodo dalle campagne stava fornendo la mano d’opera di un’industria in pieno sviluppo che stava portando l’Italia in una posizione di primo piano dell’economia mondiale.

Dedicato al mondo rurale, l’Istituto studiava le migrazioni rurali, favorite dalla riforma agraria, voluta dal Ministro Medici, e la nuova ruralità, nella quale, accanto all’abbandono delle campagne, apparivano nuovi attori, gli operai contadini e i contadini part time.

In Italia, e nel mondo, l’agricoltura stava nel pieno di quella rivoluzione che è stata definita “Rivoluzione verde”, e che stava riuscendo a generare un eccedente agricolo, e sembrava star sconfiggendo la fame nel mondo.

Improvvisamente, agli inizi del ‘900, con il processo Haber-Bosch si era riusciti ad ottenere la sintesi dell’ammoniaca per via chimica, ma l’uso di questo processo era stato destinato, durante la Prima guerra mondiale, alla produzione di gas tossici, e durante la Seconda guerra mondiale, alla produzione di esplosivi. La grande capacità industriale per la produzione di esplosivi veniva ora destinata alla produzione di fertilizzanti, dei quali l’N, (nitrogeno o azoto) dell’NPK, aveva sempre rappresentato il componente più difficile a reperirsi in natura.

Nello stesso tempo il programma “Atomo per la pace” con l’esposizione delle sementi alle radiazioni ionizzanti, stava creando le prime specie modificate geneticamente. Cominciavano ad apparire i primi ibridi. L’agricoltura sembrava star cambiando direzione, il terreno sembrava trasformarsi in un supporto inerte nel quale fertilizzanti artificiali e sementi geneticamente modificati avrebbero alimentato il mondo.

Ma non tutti avevano questa visione, nel 1961 Rachel Carson aveva pubblicato Silent Spring, forse il primo manifesto ecologico scritto da una scienziata. Negli anni ’70 Il Club di Roma pubblicava il primo rapporto sui limiti allo sviluppo, e Berry Communer indicava, con The Closing Circle la necessità di mutare il paradigma della produzione agricola e industriale.

È in questo contesto che Corrado Barberis, mentre analizzava i mutamenti strutturali del mondo rurale italiano attraverso i dati dei censimenti, percepì che si stava perdendo qualcosa. La ricchezza dei prodotti tipici del mondo rurale sembrava essere abbandonata per essere sostituiti da prodotti industrializzati, destinati a un mercato di massa. Con questo non si stava perdendo solo colture e culture fondamentali del mondo rurale, ma si stava perdendo anche la sostenibilità economica della piccola agricoltura. Un Paese senza grandi estensioni di terra, con climi e suoli differenti, sembrava destinato ad essere sommerso da una produzione agricola quasi industriale delle grandi plantations.

Corrado Barberis cominciava così a studiare i “prodotti tipici” dell’agricoltura e dell’industria alimentare italiana, iniziando con la collettanea in due volumi di “Gastronomia e società” (1984-1986) e nell´89 e 90 iniziava la pubblicazione degli “Atlanti dei prodotti tipici”, prima i Salami, dopo i Formaggi, identificati per località, processo e materia prima utilizzata. Questi Atlanti non erano semplici raccolte di preparati locali, visti in una ottica folclorica, ma veri e propri manuali, con l’identificazione delle specifiche di produzione, determinazione dell´area geografica, etc.

Questi studi vennero visti, in un primo momento, come semplici raccolte di ricette, non degne di essere studiate dalla disciplina della sociologia rurale. Tuttavia, nel 1992, Corrado presentava alla Commissione della Comunità Europea un rapporto che doveva dar senso culturale ed economico al prodotto tipico: Programme de recherche Agrimed: Les micromarchés alimentaires: produits typiques de qualité dans les régions méditerranéennes. In questo rapporto metteva in risalto il profondo significato culturale ed economico del prodotto tipico, proponendo la creazione di protocolli e procedimenti per la fissazione di etichette che permettessero di certificare l’originalità del prodotto. In questo modo quello che un tempo restava un prodotto artigianale, a volte guardato con sospetto nel mercato industrializzato, diveniva un prodotto nobile, che meritava un riconoscimento culturale ed economico.

Il riconoscimento del prodotto tipico rivestiva un doppio valore. Da un lato assicurava la continuità di una tradizione, che correva il rischio di perdersi nel tempo, in un mercato di massa. Dall’altro assicurava una base economica al prodotto che, classificato come prodotto di pregio, poteva garantire al produttore un maggior prezzo, base di una sostenibilità economica dello stesso.

Oggi siamo ormai abituati ad incontrare, nei supermercati, prodotti etichettati che attraggono il consumatore per la connotazione di originalità e pregevolezza, e le grandi catene si impegnano, con campagne tematiche con la presentazione di prodotti specifici di una regione o di una tipologia (formaggi, salumi, etc.). Si tratta, tuttavia di una novità impensabile non più di cinquanta anni fa, quando il prodotto artigianale sembrava relegato a una categoria inferiore di prodotto. Se oggi parliamo, per esempio, delle cipolle di Tropea o del lardo di Colonnata, come prodotti di pregio, da ricercare nei nostri acquisti, lo dobbiamo anche a Corrado Barberis.

L’insistenza sul prodotto tipico non veniva tuttavia appena dal riconoscimento della qualità di questi prodotti, ma veniva in primo luogo dall’analisi attenta della struttura e dell’evoluzione dell’agricoltura italiana, che Barberis ha seguito attentamente per oltre sessant’anni, attraverso i dati dei Censimenti e di inchieste periodiche. L’Italia è un Paese piccolo e densamente popolato. La sua geografia e la distribuzione delle terre non permettono grandi estensioni di coltivazione, che entrano in competizione con Paesi più favoriti di noi per il mercato di massa. Questa frammentazione geografica e fondiaria ha però dato luogo a prodotti di pregio, invidiati, e in parte copiati in tutto il mondo. L’Italia, dunque, non è il Paese della quantità, ma della qualità della materia prima e delle sue trasformazioni: non può essere il Paese del latte, del maiale, del grano o del riso, perché altri Paesi riescono a produrre queste materie prime a prezzi più competitivi, ma è il Paese dei formaggi, dei prosciutti, dei salami, della pasta e del risotto, che sono pregiati in tutto il mondo, e riescono a spuntare sul mercato prezzi assolutamente concorrenziali.

Qui, giacché in questa Cerealia si presta omaggio alla figura di Corrado Barberis, vorrei concludere due parole sul perché si giustifica questo omaggio.

Alla fine del Pleistocene, dopo ripetute glaciazioni, la biogeografia del Paese era estremamente povera. Una vegetazione xerofila, resistente alla secca della macchia mediterranea, dominava il Paese. Perfino le tre piante che sono l´essenza della cultura mediterranea, erano assenti: l’olivo era presente solo con l´olivastro, pianta rustica e di bassa resa, la Vitis vinifera era presente solo con la varietà sylvestris e l´archeobotanica ci dice che la necessità di carboidrati era attesa con piante spontanee come la Trapa natans (conosciuta come castagna d´acqua) e i rizomi della Typha latifolia, anche detta stiancia, ma che in Toscana, dove le foglie erano usate per impagliare i fiaschi del Chianti, era conosciuta come “bischero di palude“. La ricchezza della nostra biodiversità è nata dagli intensi scambi che già in epoca preromana erano iniziati, grazie ai Fenici, ai Cartaginesi, agli Etruschi e ai Greci: che hanno portato nelle nostre terre i prodotti da Paesi lontani: pensare all’agricoltura italiana fuori del contesto Mediterraneo non ha senso, e ben venga l’iniziativa di Paola Sarcina, che sta riuscendo negli anni a ripresentare questo legame ideale che, nella sua diversità, unisce i paesi del Mediterraneo.

Per concludere vorrei fare un ultimo ricordo di Corrado Barberis, che al termine delle presentazioni dei suoi Atlanti dei prodotti tipici amava fare una battuta su Pier Cloruro de’ Lambicchi, il personaggio di Giovanni Manca, immortalato negli anni ’30 e ’40 sul Corriere dei Piccoli. Pier Cloruro de’ Lambicchi scienziato un po’ matto era l’inventore di arcivernice, una vernice che trasformava in cose reali i disegni. Al termine delle sue presentazioni Barberis amava dire che, in possesso di arcivernice, avrebbe offerto ai partecipanti un assaggio di quello di cui si era discusso nella presentazione. Anche oggi abbiamo un barattolo di arcivernice, e potremmo degustare prodotti tipici del farro, tema di questo seminario.

Alessandro Barghini